L’ala della domus conversorum nell’abbazia di Valvisciolo trasformazioni e rimaneggiamenti

L’ala della domus conversorum nell’abbazia di Valvisciolo trasformazioni e rimaneggiamenti.

L’ala sud-ovest del chiostro era riservata ai fratelli conversi ed ha subito nel corso degli anni molti stravolgimenti e rimaneggiamenti. E’ sempre molto difficile riuscire ad indagare in modo esaustivo su questa stuttura senza incombere in errori o imprecisazioni.

La condizione di inferiorità rispetto ai monaci coristi imponeva all’interno degli ambienti monastici una suddivisione ben scandita, anche per poter accedere all’interno della chiesa abbaziale vi era sia l’ingresso riservato ai coristi che quello riservato ai fratelli conversi (oggi murato perchè si trova ad una quota più bassa dopo i vari lavori sia del piano di calpestio del chiostro che della chiesa) tramite un corridoio chiamato appunto passaggio dei conversi. Corridoio  che è separato dalla galleria occidentale del chiostro da un muro continuo. Tale passaggio permetteva ai conversi di muoversi negli edifici a loro uso esclusivo senza interferire con le attività dei monaci coristi.

Coloro che volevano diventare fratelli conversi erano accettati per il noviziato di un anno come i monaci coristi. Durante questo periodo, studiavano i loro futuri compiti e venivano formati alla disciplina monastica, imparavano a memoria alcune preghiere, il Pater, il Credo, il Miserere, ed alcuni brevi responsori. Si escludeva però l’uso dei libri e di qualsiasi studio specifico. Dopo l’anno di prova pronunciavano i voti, facendo promessa all’abate di obbedienza “fino alla morte”. Diventavano così religiosi, a pieno diritto, pur non avendo voce né passiva né attiva nelle votazioni, nei capitoli, né avrebbero mai potuto diventare monaci coristi. Anche il loro abito era diverso, essendo fatto di stoffa color grigio scuro.

Il loro superiore diretto era il cellerario, o il suo assistente, chiamato grangiarius, che abitualmente era sempre un converso. Mentre lavoravano, osservavano un rigoroso silenzio, ma i loro digiuni erano meno severi rispetto agli altri monaci e il loro riposo più lungo.

Alcune volte accompagnavano gli abati nelle loro visite ufficiali ed erano  responsabili, come questuanti, delle organizzazioni di carità.

Abbiamo sottolineato quindi come la vita semplice dei fratelli conversi in monastero trascorreva in diversi ambiti di lavoro o in servizi domestici; ma la maggior parte di loro era destinata a lavorare nelle grange come contadini o mandriani. Quanti restavano al monastero disponevano di locali simili a quelli dei monaci di coro, ma erano separati da loro: avevano i propri capitoli settimanali, per la loro direzione spirituale e la loro istruzione religiosa. La maggioranza delle domande di ammissione era fortemente motivata dal desiderio di sfuggire alla povertà e all’insicurezza, entrando in una grande e ricca abbazia.

A Valvisciolo il primo intervento documentato su questi ambienti fu quello commissionato da Pio IX che fece costruire un nuovo ingresso con la stanza del custode portinario.

Probabilmente secondo il Ricci e il De Lazzaro vennero demolite alcune strutture addossate, fatte erigere dagli abati commendatari come una torretta.

Dall’immagine dell’arrivo del pontefice è possibile notare come appariva l’abbazia nel 1863.

Ma con l’abate White, arrivato a Valvisciolo nel 1893,  si ebbero le trasformazioni più importanti. Egli trovò l’abbazia in un grave stato di abbandono e proprio l’ala dei conversi fu oggetto dei primi interventi.

Ritornando alla disposizione degli ambienti a loro riservati nell’ala sud- ovest del chiostro al piano terra era disposto il cellarium o meglio noto come dispensarium e sopra la grande sala adibita a magazzino e laboratori vi erano i dormitori dei conversi.

 

L’abate fece costruire un nuovo edificio a pietra riquadrata con la collaborazione dell’ingegnere Giuseppe Quaroni.

 

Nell’ultimo piano le finestre a bifora con colonnine di marmo sono opera di questo periodo e non più antiche ma si armonizzano nell’insieme dando un tocco di antichità.

Al piano superiore fece costruire otto camere spaziose destinate quindi a dormitorio e un corridoio lungo trentotto metri.

Il piano terra, che oggi corrisponde ad una parte del museo doveva essere diviso in due navate, di cui una più stretta. Scandite da grandi pilastri a sezione ottagonale sormontati da semplici mensole e copertura a volta a crociera liscia con archi trasversi a sesto acuto.

 

Il refettorio dei conversi poteva trovarsi tra la sala grande e la cucina, collegato quindi con quest’ultima che presumibilmente era a sua volta collocata in mezzo tra il refettorio dei monaci coristi e quello dei conversi.

 

Il locale adibito a cucina era situato ad un livello di quota più basso, come si vede dai resti della porta murata che dava nel chiostro.

Le varie pietanze venivano quindi passate all’interno del refettorio dei monaci coristi attraverso una feritoia (passavivande) nella parete interna (feritoia inserita quindi nel locale dove oggi c’è la chiave di volta con la rosa mistica). Secondo il Mastroianni questa sorta di feritoia doveva esserci fino al 1870.

L’ambiende della cucina era riservato solo ai conversi che avevano il compito di preparare i pasti per i monaci coristi ed è quindi presumibile che il loro refettorio potesse trovarsi nel locale attiguo e che oggi appare totalmente traformato e non più identificabile con precisione inglobato nelle varie aree di passaggio.

Bibliografia essenziale:

  • Sonia Testa, Abbazia di Valvisciolo, “Vallis Lusciniae” Ars et Historia. Pontinia, 2007
  • Sonia Testa,  Figure simboliche, frammenti d’arte e di spiritualità, Roma, 2017

  • Abbazia di Valvisciolo tra arte, storia, simboli e testimonianze cistercensi a Sermoneta. Roma 2021 

  • G. Cristino e P. Rispoli, L’Abbazia di Valvisciolo: trasformazioni edilizie e restauri, Rivista cistercense, anno XII, n.1 Gennaio-Aprile 1995
  • L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e realtà, XVI, Certosa di Pavia, 1989.

 

VISITE GUIDATE ALL’ABBAZIA DI VALVISCIOLO (SOLO SU PRENOTAZIONE)

SONIA TESTA

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Pubblicato da conoscerepertutelare

L’accesa passione per la ricerca, per la storia, per l’andare a fondo su determinati temi e l’amore per la sua città ha influenzato fino ad ora le numerose pubblicazioni della scrittrice Sonia Testa. In effetti, la ricostruzione di cicli pittorici, attraverso solerti e tenaci indagini d’archivio è per la studiosa una vera e propria vocazione. Dalla sua costanza e curiosità sono scaturite notizie importanti e soprattutto inedite, che hanno contribuito a fare luce su questioni irrisolte da anni. Studi che hanno ad esempio contribuito a dare una paternità legittima ad alcune opere erroneamente attribuite ad autori che non potevano materialmente (perché già scomparsi) averle eseguite. Hanno dato datazioni corrette a opere che per anni erano state datate erroneamente. Hanno dato letture corrette ad affreschi che nessuno prima aveva letto accuratamente. Hanno anche contribuito a tracciare biografie di artisti poco noti al pubblico. Per, Sonia Testa, lo studio e la ricerca sono sempre stati due perni importanti nella propria vita e per questo è stata spesso definita da alcuni “topo d’archivio”. Inoltre i suoi studi sono sempre stati corredati dalla divulgazione delle scoperte fatte in un linguaggio semplice, schietto, chiaro, privo di termini obsoleti e desueti. Ma con toni frizzanti e rivolti soprattutto a fare conoscere. Perché uno degli scopi primari di queste pubblicazioni è proprio quello di far scoprire il patrimonio storico artistico di Sermoneta affinché possa essere protetto, valorizzato e tutelato. Lo slogan abbracciato dalla studiosa da diversi anni è proprio questo: conoscere per tutelare!